venerdì 27 maggio 2016

Best practices: formazione dei volontari e linguaggio semplice

Due aspetti che mi hanno particolarmente interessato durante la mia job-shadowing presso l’organizzazione tedesca Diakonie Bremen nell'ambito del progetto Going International, cofinanziato dal programma europeo Erasmus+, riguardano la formazione dei volontari e l’impiego dell’easy language quale strumento per il superamento di alcune barriere alla comunicazione.
Il volontariato rappresenta un elemento basilare delle attività svolte dall'Associazione Uniamoci Onlus ed un valido contributo per garantire la continuità delle attività da essa promosse e realizzate a favore dell’inclusione sociale delle persone con disabilità. Il volontario è una persona che, in modo spontaneo, si rende disponibile al servizio gratuito e disinteressato alle persone o ad una comunità dedicando tempo, professionalità e passione. Un’ampia revisione di 40 ricerche, pubblicata sulla rivista BMC Public Health dimostra che occuparsi degli altri e spendersi in attività benefiche non è vantaggioso solo per chi riceve le nostre attenzioni, ma anche per la nostra salute: il volontariato infatti aumenta il benessere generale, allontana il rischio di depressione, ci rende più soddisfatti di noi stessi e addirittura potrebbe allungare la vita1. Al fine di rendere più efficace il contributo dei volontari ma anche al fine di uniformarlo alla mission dell’organizzazione cui afferiscono e di facilitare la creazione di una rete supportava e di relazioni personali tra i volontari stessi, potrebbe essere utile prevedere degli incontri periodici di formazione dei volontari. L’organizzazione Diakonie Bremen vanta il contributo annuale di circa 130 giovani volontari, tali grandi cifre fanno si che la loro formazione sia non solo utile ma addirittura indispensabile. L’elemento forse più interessante del tipo di formazione fornita riguarda l’utilizzo di tecniche di apprendimento non formali, mediate dall'uso di presentazioni, ma anche giochi di ruolo e discussioni di gruppo che non riguardano solo le tematiche specifiche dell’area in cui il volontario verrà impiegato ma anche più in generale, su altre tematiche sociali. L’incontro con il trainer che ha gestito alcuni incontri di formazione mi ha consentito di raccogliere alcuni strumenti che potranno essere impiegati in future attività dell’Associazione Uniamoci Onlus.
Per quanto riguarda invece l’easy language, si tratta di un linguaggio semplificato che possa essere facilmente comprensibile per persone con deficit cognitivi ma anche per persone di diversa provenienza culturale: il linguaggio comunemente utilizzato da giornali, siti web, ma anche durante conferenze etc. è spesso complicato e pieno di termini tecnici difficilmente comprensibili, che dunque possono rappresentare una barriera alla comunicazione. In Germania la creazione e traduzione di testi in easy language sta iniziando a diffondersi ampiamente ed è sempre più richiesta anche durante convegni e seminari: a Brema vengono prodotti in easy language anche i pieghevoli con le informazioni turistiche.

In Italia non è facile trovare esempi di applicazione di tale linguaggio, le principali informazioni rinvenibili sul web sono relative ad un progetto europeo realizzato da Anfass insieme ad Inclusion Europe. Il linguaggio semplificato o facile da leggere è un importante strumento di inclusione che l’Associazione Uniamoci Onlus si propone di diffondere a livello nazionale con progetti ed attività locali e transnazionali, nei prossimi anni.

Eleonora Di Liberto

1http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/14_gennaio_07/volontariato-fa-bene-salute-potrebbe-addirittura-allungare-vita-3972a3fc-77a7-11e3-823d-1c8d3dcfa3d8.shtml




logo utilizzato per indicare un contenuto in linguaggio semplice

lunedì 11 aprile 2016

Il ritorno a Brema

Che emozione trovare gli amici della Diakonie di Brema all'uscita dall'aeroporto ed essere accolta con tanto calore. Rivedere le bellezze della città è meraviglioso; è stimolante confrontarsi con un programma pieno di seminari e visite in varie strutture sociali, parte delle quali già conosciute 4 anni fa durante la prima permanenza a Brema, e sapere di rincontrare le persone care a Friedehorst e nella Parkstrasse è una botta di adrenalina! Si inizia subito con una fiera dal tema "Rifugiati" e là si presentano tutte le associazioni affini. E' impressionante vedere la collaborazione tra le varie associazioni, dove finisce la competenza dell'una è già pronta l'altra per portare avanti il caso. C'è molta solidarietà anche tra  i rifugiati stessi, quelli arrivati prima danno una mano ai nuovi arrivati. In un centro di accoglienza si incontrano ragazzi pieni di volontà di inserirsi, impazienti di imparare la lingua e lavorare, e di vivere per conto proprio. Ma purtroppo si vedono anche casi in cui i rifugiati vendono le bici in dotazione per chiederne poi un'altra e non mostrano alcun impegno nello studio della lingua o nelle attività all'interno del centro. Il lavoro svolto nel settore è enorme, sia da parte dei professionisti come anche dei volontari, e non sempre è gratificante. Nel passato le persone con disabilità vivevano spesso in grandi centri come un mondo a parte, dove imparavano e lavoravano anche. Ormai da molti anni si tenta di inserire le persone con disabilità fuori da questi centri, in case protette, con piccoli gruppi di 6-8 persone con disabilità sostenute da professionisti. Tante persone con disabilità vivono in famiglia e passano la giornata nei centri diurni, dove lavorano e ricevono le cure necessarie. L'associazione per "Una Vita Indipendente", che esiste fin dalla seconda guerra mondiale, fornisce indirizzi e consigli alle persone con disabilità che intendono vivere indipendentemente o in gruppi. L'associazione ha creato uno studio ginecologico senza barriere a Brema, le donne su sedia a rotelle possono accedere senza accompagnatori e senza bisogno d'aiuto. L'associazione pubblica anche opuscoli in "lingua semplificata" per persone con disabilità mentale che trattano temi attuali, nuove leggi riguardanti il campo della disabilità o guide turistiche. Molto impegnativi ed interessanti erano i vari seminari, come ad esempio la conferenza sulla povertà, povertà intesa non solo come economica ma anche e soprattutto culturale, in alcuni casi causati dalla mancanza di lavoro per i giovani. Cifre esigue per noi provenienti dalla Sicilia che siamo abituati ad un numero molto alto di disoccupazione giovanile, ma preoccupante per i Bremesi che non conoscevano tale fenomeno fino a pochi anni fa. Al "Forum Inclusione" erano presenti molte persone con disabilità (non vedenti, sordo-muti, disabilità fisiche svariate, disabilità psichiche); su un pannello scorrevano i vari discorsi scritti, erano presenti traduttori della lingua dei segni per i sordomuti e tutto era accessibile alle sedie a rotelle. Era presente però, chi sottolineava la mancanza di una traduzione in lingua semplificata. Si discuteva anche sul ruolo del "Burgerbeirat", il co-consiglio comunale costituito dai gruppi di minoranza come i rifugiati o le persone con disabilità, che si adopera a tenere presente le loro necessità specifiche. La visita nella "Casa del Futuro" in un rione povero e difficile di Brema era veramente un passo nel futuro. Negozi e ristoranti sono pressoché inesistenti nel quartiere. La casa del futuro ospita tre asili e asili nido ed anche un doposcuola. Offre una moltitudine di laboratori culturali per tutte le fasce d'età, corsi di lingua, musica, pittura, lavori manuali, bricolage e circoli di lettura. Vengono organizzate gite e soggiorni, spesso i posti disponibili sono esauriti già un anno prima della partenza, ma anche mostre d'arte e concerti. Nel sotterraneo si trova una palestra per fare sport ed anche terapia per convalescenti e persone con disabilità con terapisti competenti. Tutti i giorni sono presenti psicologi che offrono aiuto a tutti. Qui si trova anche l'unico caffè-ristorante del rione, che occupa persone senza lavoro ed è in grado di dare una qualifica lavorativa. Nel quartiere sono stati abbattuti due grattacieli per creare spazio verde ed allestire un parco giochi. Un altro grattacielo presenta la facciata dipinta con enormi soffioni, veramente stupendo. A Brema dicono: molto lavoro è stato fatto, molto resta da fare, importante è andare avanti e non fermarsi.


Silvia Schirmer


giovedì 31 marzo 2016

Fare rete per l’inclusione sociale

Dal 04 al 18 Febbraio 2016 ho svolto una Job shadowing prevista dal progetto Going International, presso l’organizzazione tedesca Diakonie Bremen, avendo modo di apprendere alcuni approcci e strumenti utilizzati a Brema (Germania) nel lavoro sociale e nell’inclusione di adulti con disabilità.
In particolare, è emerso con forza un aspetto generale ma di fondamentale importanza: il lavoro in rete tra le organizzazioni locali. Se ne parla molto anche in Italia, svariati bandi  per la progettazione sociale prevedono quale elemento di qualità la presenza di un forte partenariato locale, ma il lavoro di rete non è solo questo. Lavoro in rete vuol dire anche che organizzazioni impegnate nello stesso ambito di intervento abbiano l’interesse di conoscersi e diffondere i punti di forza e di debolezza del proprio lavoro, discutano strategie efficaci per affrontare le problematiche sociali, in un clima di collaborazione e scambio reciproco. A Brema ho partecipato ad una tavola rotonda  con diverse organizzazioni che hanno fatto il punto della situazione sul lavoro svolto negli ultimi sei mesi (la tavola rotonda si tiene ad intervalli regolari di 6 mesi), hanno discusso con serietà le situazioni problematiche presenti ed hanno delineato delle strategie per affrontarle: un confronto produttivo, per affrontare le problematiche da diversi punti di vista e scoprire nuove metodologie ed approcci. Un atteggiamento molto diverso da quello che si percepisce nel palermitano, in cui si conoscono a stento le organizzazioni attive nel settore della disabilità, si avverte una scarsissima predisposizione al confronto per paura che le altre organizzazioni possano “copiare” le proprie attività ed idee; invece di lavorare insieme per offrire un servizio migliore ed una risposta più efficace ai problemi percepiti nel settore dell’inclusione sociale, si tende ad atteggiamenti individualistici. Tale aspetto si evince anche dalla scarsa partecipazione di rappresentanti di organizzazioni locali a convegni e seminari cha, invece, contribuirebbero a fare il punto della situazione e a dare visibilità alla propria realtà.
Per tale ragione l’Associazione Uniamoci Onlus si propone di invitare le organizzazioni locali attive nel settore dell’inclusione sociale delle persone con disabilità ad incontrarsi in una tavola rotonda annuale di confronto e collaborazione. Ci proponiamo inoltre una più ampia partecipazione a seminari e convegni locali sul tema dell’inclusione sociale.  

Going International è un progetto di apprendimento rivolto allo staff dell'Associazione Uniamoci Onlus, cofinanziato dal programma europeo Erasmus+.

Eleonora Di Liberto

martedì 2 febbraio 2016

Uno sguardo al supporto alle attività sociali in Germania

La job-shadowing presso l’organizzazione tedesca Diakonie Bremen, prevista dal progetto Going International -  progetto di apprendimento rivolto allo staff dell'Associazione Uniamoci Onlus, cofinanziato dal programma europeo Erasmus+ - mi ha consentito di partecipare alla riunione del Parlamento di Brema in occasione della Giornata Internazionale della Disabilità, con il vicedirettore dell’organizzazione ospitante. Durante la sessione parlamentare si sono discusse le problematiche legate alla disabilità con l’intervento di diverse persone con disabilità che hanno espresso alcuni loro disagi, prevalentemente correlati con la presenza di barriere architettoniche, attentamente ascoltati dai rappresentanti politici presenti, che hanno preso nota di quanto esposto. Dall’osservazione e l’ascolto degli scambi comunicativi tra i rappresentanti politici e le persone con disabilità intervenute, mi ha sorpreso positivamente la forte sinergia tra le parti ed una forte motivazione al cambiamento.
Ho avvertito lo stesso forte coinvolgimento della politica nel sociale quando ho partecipato alla Giornata del Volontariato “Bremen sagt Danke”, svoltasi presso il Comune di Brema alla Presenza della Senatrice tedesca Anja Stahmann, in cui sono state ringraziate tutte le organizzazioni di volontariato di Brema ed i loro volontari. La giornata ha evidenziato quanto il volontariato sia un aspetto rilevante del lavoro sociale.
L’esperienza a Brema mi ha consentito di approfondire anche  le strategie di accoglienza dei migranti adottate in Germania, valore aggiunto del progetto Going International, attraverso la visita ad un centro di accoglienza per migranti. Il responsabile della struttura ha mostrato e delineato le attività svolte presso il centro a favore dell’integrazione dei migranti, dimostrando e trasmettendo una forte motivazione, dedizione ed impegno personale nel proprio lavoro: in poco tempo sono riusciti a creare una struttura idonea a rispondere alle esigenze dei loro ospiti. Collaborazione, volontà ed uno staff professionale sono gli ingredienti indispensabili per creare risposte efficaci alle problematiche sociali.

Al di là della Nazione in cui si risiede, dialogo, ascolto, unione e passione consentono di superare qualsiasi ostacolo, unitamente all’impegno e al supporto della politica.

Dott.Davide Di Pasquale
Presidente Associazione Uniamoci Onlus

giovedì 28 gennaio 2016

Lavoro è inclusione sociale

Da circa 8 anni collaboro con il partner tedesco Diakonie Werk Bremen e lo scorso Dicembre il progetto Going International mi ha offerto la possibilità di osservare in prima persona il loro approccio di intervento nel sociale, la modalità di coordinamento di diversi progetti ed iniziative e soprattutto le strategie di inclusione lavorativa delle persone con disabilità con l’obiettivo di integrare tali buone prassi nel piano di sviluppo europeo dell’Associazione Uniamoci Onlus.

Durante la mia job-shadowing ho visitato il centro “Friedehorst” che ospita circa 250 persone con disabilità; qui la modalità di inserimento in attività occupazionali si articola attraverso la partecipazione a corsi di formazione che terminano con l’inserimento lavorativo vero e proprio: ad ogni persona viene attribuito un ruolo specifico in seguito alla valutazione delle proprie competenze ed abilità residue.
L’accettazione della disabilità, e dunque la consapevolezza, sia da parte della persona con disabilità che da parte degli operatori sociali, delle effettive abilità della persona e delle mansioni specifiche che possano dunque essere svolte, è un elemento preliminare e imprescindibile all'inserimento in un contesto lavorativo. Tale concetto è assolutamente radicato nella metodologia di lavoro della Diakonie mentre, in Italia, stenta ad affermarsi.
La logica di “Friedehorst” è quella di favorire l’inserimento lavorativo di tutti i suoi ospiti, assistiti anche dal punto di vista riabilitativo, per cui  ho potuto osservare alcuni di loro impiegati presso la mensa della struttura, altri che si occupavano del servizio di pulizia, altri impegnati nella riparazione dell’impagliatura di sedie (lavori commissionati da privati), altre persone con disabilità si occupavano dell’assemblaggio di dispositivi elettronici per cellulari per una nota azienda. Attività lavorative capaci di rendere autonome le persone con disabilità, conferendogli la dignità di essere capaci di una vita indipendente e stimolando le loro capacità relazionali e di interazione sociale.

Sulla base di quanto ho appreso, l’impegno dell’Associazione Uniamoci Onlus nel campo dell’inserimento lavorativo o in attività occupazionali delle persone con disabilità, si orienterà maggiormente su due fronti: da una parte la creazione di percorsi di accettazione ed acquisizione di consapevolezza di potenzialità e limiti della persona con disabilità in termini di capacità occupazionali rivolti sia ai propri utenti, che allo staff ed al contesto di riferimento della persona disabile (intendendo per “consapevolezza di potenzialità e limiti” quel processo di auto-riflessione che ciascuna persona effettua nel momento in cui si appresta allinserimento nel mercato del lavoro), e dall'altra la ricerca di nuovi fondi ed opportunità che consentano di profilare reali opportunità di impiego.

Dott.Davide Di Pasquale
Presidente Associazione Uniamoci Onlus




martedì 26 gennaio 2016

Job-shadowing a Brema

Mi chiamo Davide Schiera ed ho 25 anni; sono partito 15 giorni a Brema con l’Associazione Uniamoci Onlus in partenariato con la Diakonie per un aggiornamento dello staff per osservare come lavorano in questa fantastica città che “consiglio di visitare”, ed in cui sono rimasto colpito dal modo di lavorare nell’ambito della disabilità.
Un sito internet è importantissimo per la propria organizzazione per trovare contatti, informazioni utili, ect. Il Dott. Jürgen Stein mi ha mostrato il sito della DIAKONIE e ne ha spiegato la gestione, devo dire di averlo trovato semplice, intuitivo, molto bello e molto dinamico.
In 15 giorni ho visitato anche varie strutture dove operano e dove i disabili lavorano riacquistando cosi una percentuale di autonomia; siamo stati in un rifugio di immigrati: vedere come vivono questi immigrati dal vivo mi ha aperto la mente e mi ha fatto capire tante cose, mi ha colpito al cuore vedere tutti questi ragazzi senza né famiglia né documenti, niente di niente,  questa visita mi ha segnato. Ho anche visitato varie strutture dove i disabili producono e aggiustano sedie, componenti elettronici, componenti meccaniche e questa parte è stata molto interessante.

Tuttavia devo dire che purtroppo secondo me ci sono delle cose che non vanno, mi spiego meglio, ho visto strutture nuove, grandissime, però, non so se riesco a spiegarmi bene, mi sembrano poco sfruttate.
Questa esperienza di 15 giorni mi fatto imparare tantissime cose e mi ha fatto crescere mentalmente,  umanamente e professionalmente; è stata un’esperienza stupenda e da rifare assolutamente.

venerdì 30 ottobre 2015

Esperienza a Brema


Il due Ottobre 2015 valigie pronte, non è ancora l’alba, ma eccoci all'aeroporto per volare verso Brema.  Inizia cosi quel viaggio che può definirsi solamente grandioso.
Non avevo mai partecipato ad un’esperienza di Job shadowing, prevista nel progetto “ Going International” che mi avrebbe consentito, partecipando ad attività di educazione e di inclusione sociale di adulti disabili, di acquisire nuove competenze ed efficaci strumenti da spendere successivamente nel mio modo di lavorare con la disabilità. Emozioni, dubbi, ansie affollavano la mia mente. Il timore di non riuscire a comunicare e a confrontarmi per la non conoscenza della lingua tedesca mi rendeva inquieta. Tutte queste perplessità si sono andate affievolendo nel momento in cui ho conosciuto il responsabile delle Diakonie, dott. Jurgen Stein,  che con la calma, la precisione, la dedizione al lavoro, la pazienza nel tradurci in inglese tutte le conversazioni, ha accolto me e la mia collega caldamente facendoci sentire parte del suo staff e coinvolgendoci in attività interessanti. Stimolante, per la mia professione di psicologo, a mio parere, è stato l’incontro che avuto con il gruppo di auto aiuto di madri con figli disabili. Giunta al luogo di destinazione stupore, meraviglia hanno dominato improvvisamente  i miei pensieri. Davanti a me c’era una struttura meravigliosa con ampi spazi e arredi funzionali ed eleganti, dove si trovavano anche  diversi uffici che si occupavano della distribuzione di indumenti e generi alimentari per la gente bisognosa. Ad accoglierci arriva Monica, una ragazza disabile, psicologa come me, la quale ci presenta al gruppo invitandoci  a spiegare il perchè della nostra presenza lì. Alcune di loro parlavano l’inglese, quindi per noi la comunicazione si è resa più agevole. Abbiamo spiegato loro che lo scopo del nostro viaggio è di fare nuove esperienze lavorative confrontandoci con realtà diverse dalle nostre. Eravamo seduti intorno ad un grande tavolo sul quale erano disposti dolciumi e bevande, come vuole la tradizione tedesca prima di iniziare una conversazione. Ci guardavano incuriosite, con occhi scrutatori che esprimevano disagio e imbarazzo. Poi Monica ci chiede di porre delle domande, ma nessuna vuole cominciare a parlare. Finalmente una di loro decide di rompere il ghiaccio che si era creato fra noi. Riferisce che quel silenzio derivava da una loro difficoltà ad esprimere davanti a degli estranei ciò che appartiene alla loro sfera più intima e personale, ma avrebbe provato. Ci racconta che insieme a Monica è stata la fondatrice del gruppo. L’idea è nata dall'esigenza di condividere il proprio problema di essere genitori di un figlio disabile con altri che giornalmente vivono la stessa situazione. Il gruppo inizialmente era costituito da tre membri ora sono 10, impegnati anche in attività di volontariato e  di sensibilizzazione sociale. Anche le altre poi sentono il bisogno di presentarsi e raccontare la loro storia. L’una era diversa dalle altre, figli con differente disabilità, vissuti propri, ma tutti accomunati dallo stesso destino: “portare il figlio in un istituto”e incontralo una volta a settimana. In quel minuto ho guardato i lori occhi e ho visto scendere sul viso di alcune lacrime di dolore. Dolore dettato forse dal rimorso, dai sensi di colpa per avere compiuto una tale scelta, scelta scaturita non soltanto da impegni di lavoro, ma anche dalle difficoltà di gestire un figlio aggressivo e talvolta pericoloso per se e per gli altri, pensando che lì avrebbe potuto godere di cure e attenzioni adeguate da parte di operatori specializzati e magari raggiungere minimi e significativi progressi. Ci chiedono poi di raccontare come i genitori dei nostri disabili vivono e affrontano il “problema”. Nel sentir dire che da noi sono presenti poche strutture e che tutto grava sulle spalle dei familiari, sono rimaste incredule. Al contempo, il comportamento di tali genitori, nel nostro paese dove predomina una cultura molto lontana e distante dai canoni europei, dove pregiudizi e stereotipi sono ben radicati, potrebbe essere considerato incredibile se non inaccettabile. Terminato l’incontro ci siamo salutate e con Monica ci siamo proposti di rivederci a marzo quando sarà ospite presso la nostra associazione.

Così rientravo con sentimenti differenti da quelli che avevo provato al momento della partenza. Fiduciosa, dopo aver sperimentato, che dei modelli di inclusione e di sostegno in grado di coniugare sensibilità autentica ed efficacia professionale sono possibili e realizzabili.

Dott.ssa Marcella Vella
Psicologa